460 mila piccole imprese a rischio chiusura


Sono 460 mila piccole imprese italiane (con meno di 10 addetti e sotto i 500 mila euro di fatturato) a rischio chiusura a causa dell’epidemia che mediante il «2° Barometro Censis-Commercialisti sull’andamento dell’economia italiana» il Consiglio nazionale dei commercialisti e degli esperti contabili  denuncia. Ciò deriva dalle valutazioni di 4.600 professionisti, «sensori» diffusi in maniera capillare sul territorio e tra i più affidabili nel rilevare lo stato di salute dell’economia reale.

Il Covid-19 potrebbe dunque spazzare via una parte della nostra economia molto vivace ma fragile, poco patrimonializzata e poco protetta. Eppure il piano di sostegno attuato dal governo in questi otto mesi di pandemia non è del tutto negativo secondo l’indagine condotta tra i commercialisti italiani. Emerge infatti un quadro valutativo tra luci e ombre: il sostegno alle imprese (moratoria sui mutui, garanzie statali sui prestiti) viene giudicato positivamente dal 45,2%. Gli aiuti all’occupazione(divieto di licenziamento, ricorso alla Cassa integrazione in deroga) sono promossi dal 43,4%.Il sostegno alle famiglie (bonus babysitter, congedi parentali, Reddito di emergenza) è visto con favore dal 36,6%.

Il distacco avviene in tema fiscale: la sospensione dei versamenti fiscali e contributivi per le imprese più penalizzate è valutato male dal 46,9% del campione perché considerato tradivo e incompleto. Un’indicazione che deve far riflettere anche per il futuro: in questa seconda ondata e ancor più nella fase di ripartenza servirà sinergia tra il governo e il mondo professionale. Lo ribadisce a chiare lettere il presidente dei commercialisti, Massimo Miani, che mostra fiducia e ottimismo sulla ripartenza dell’Italia dopo la pandemia, ma solo a patto che il governo ascolti anche i corpi intermedi e il mondo produttivo. «Per snellire il sistema burocratico — spiega Miani — le libere professioni del sistema ordinistico possono dare il proprio contributo in un momento di estrema emergenza per il Paese attraverso l’attribuzione di funzioni sussidiarie, prevista dal Jobs Act del lavoro autonomo. La PA può infatti alleggerirsi di determinate funzioni per attribuirle a questo comparto».

Per scongiurare la moria di piccole imprese, secondo i commercialisti bisogna intervenire subito, agendo su quello che non ha funzionato. E poi avanzano la loro proposta: «Creare un superbonus della ricapitalizzazione delle imprese — afferma Miani — Si tratta di un piano di incentivi mediante le sovvenzioni UE, che rafforza la solidità delle imprese e la loro capacità di rimborso dell’indebitamento, evitando allo Stato di dover intervenire con risorse proprie a copertura delle garanzie che verrebbero attivate dal sistema bancario nel caso in cui le imprese debitrici non fossero in grado di onorare i propri debiti».

Infine, la sfida più complessa e ardita: occorre snellire adempimenti burocratici e passaggi formali per rendere gli interventi più efficaci: questo chiedono i commercialisti, convinti che le imprese vadano aiutate a resistere oggi, per ripartire domani.

 

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