L’esercizio provvisorio nel fallimento per valorizzare l’impresa

L’esercizio provvisorio nelle procedure fallimentari, ai sensi dell’art. 104 L.F. comma 1 e 2,  deve essere concepito e percepito come un mezzo di valorizzazione dell’impresa in stato di insolvenza, al fine di promuovere il trasferimento dell’azienda ad altro imprenditore mediante la negoziazione di un affitto ovvero la cessione. Attraverso l’esercizio provvisorio il Curatore si sostituisce all’imprenditore fallito al fine di non disperdere gli elementi di vitalità aziendale , come l’avviamento o il valore del marchio.

Questo strumento può essere disposto dal giudice delegato dopo la sentenza dichiarativa di fallimento, nella fase che precede il deposito del piano di liquidazione dell’attivo oppure successivamente al deposito di tale piano di liquidazione, in presenza però dell’autorizzazione del comitato dei creditori. Nella prima ipotesi, sarà pertanto il giudice delegato a surrogare il parere del comitato dei creditori (non essendosi ancora costituito tale organo fallimentare), mentre, nella seconda ipotesi, il parere del curatore dovrà essere preventivamente autorizzato dallo stesso comitato per poter essere poi deliberato dal Giudice Delegato.

Affinché il Tribunale possa essere opportunamente documentato ai fini della valutazione di convenienza, il curatore fallimentare dovrà illustrare tutti gli elementi contabili, economici e giuridici a supporto della continuità, dovrà predisporre un piano finanziario di cassa e dovrà illustrare le modalità con cui sarà gestita l’impresa al fine di motivare le prospettive di negoziabilità dell’azienda.

Il Tribunale si esprime in merito all’esercizio provvisorio con apposito decreto motivato, che potrà essere oggetto di reclamo ai sensi dell’articolo 26 L.F. da parte di coloro che siano interessati. Il decreto dovrà illustrare le ragioni per cui è consigliabile l’adozione dell’esercizio provvisorio, specificando i compiti, i limiti e le modalità precise con cui dovrà essere svolto l’incarico da parte del curatore. In modo particolare dovranno essere fornite indicazioni circa le modalità di incasso dei crediti, di pagamento dei debiti relativi agli approvvigionamenti oltre che all’obbligo di rendicontazione della cassa. L’esercizio provvisorio deve essere oggetto di apposito monitoraggio da parte degli organi della procedura. Inoltre al termine di ogni semestre, ed in ogni caso alla conclusione dell’esercizio provvisorio, il curatore deve presentare agli organi della procedura un rendiconto dell’attività evidenziando in modo particolare i risultati economici e finanziari conseguiti nel periodo intercorrente tra l’inizio e la fine dell’esercizio provvisorio.

L’esercizio provvisorio può essere disposto dal Tribunale anche in sede di emissione della sentenza dichiarativa di fallimento, laddove la cessazione dell’attività possa comportare un grave danno e sempre che tale prosecuzione dell’attività non determini un pregiudizio per i creditori; si tratta di due requisiti che devono assolutamente coesistere e, secondo dottrina prevalente, l’esercizio provvisorio può essere concesso solo laddove l’azienda sia effettivamente funzionante nel corso dell’istruttoria da parte del Tribunale.

Secondo dottrina minoritaria il Tribunale, nella valutazione della sussistenza di tali due requisiti, non dovrà valutare il solo esclusivo interesse privatistico del ceto creditorio ma anche l’interesse generale e sociale derivante appunto dalla continuazione dell’attività d’impresa.

La concessione dell’esercizio provvisorio all’interno della sentenza dichiarativa di fallimento rappresenta un atto di per sé molto complesso, stante la scarsa conoscenza da parte del Tribunale dell’imprenditore fallendo, non essendo iniziata alcuna indagine o accertamento da parte degli organi della procedura, salvo il caso che il fallimento faccia seguito alla risoluzione di un concordato, di un accordo di ristrutturazione del debito ovvero al deposito di una relazione da parte dei commissari ai sensi dell’articolo 173 L.F..

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